C’era una volta la scadenza «perentoria» del 30 giugno, termine entro il quale o avevi i conti in regola per iscriverti al campionato oppure ciccia. A meno che. A meno che qualche sindaco o qualche capo ultrà non decidesse di bloccare qualche stazione in qualche parte d’Italia: in maniera «perentoria», naturalmente. Se le vie del Signore sono infinite, vi lascio immaginare le vie di Carraro (nel 2005 e dintorni). Riposto «perentorio» nel cassetto, ecco spuntare uno stravagante braccio di ferro attorno ai 200 milioni di euro che le venti società della Lega di serie A si accingono a dividersi. Dovrebbero farlo in base al cosiddetto bacino d’utenza. Traduzione: in base al numero dei tifosi. In condizioni normali, non dovrebbe esserci gara. Ci sono cinque società che, in termini di seguito, staccano le altre quindici: Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma. Neppure il più pignolo ed esigente dei linguisti troverebbe da ridire. Volete mettere i tifosi di Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma con i tifosi del resto d’Italia?
Il problema è che siamo il Paese del «perentorio». E allora cosa si sono inventati Lotito e i suoi amanuensi? L’allargamento del concetto di «tifoso»: la prolunga geografica, la cittadinanza di riserva (se sono supporter della Juventus ma vivo a Verona e sono abbonato al Chievo, per la proprietà transitiva divento tifoso «anche» del Chievo, al quale andrà riconosciuta una piccola quota del bacino d’utenza di cui sopra). E’ nata, così, la figura – o forse il mestiere – del «sostenitore», in antitesi, o quasi, alla professione di «tifoso».
Giù il cappello. O meglio: giù il vocabolario. La stessa Giovanna Melandri, la «ministra riscaldata» che si battè per fare chiarezza (?) sui diritti televisivi, si è ben guardata dal prendere posizione. Nessun dubbio che la vendita dovesse abbandonare il postribolo dell’individualità per abbracciare il convento del collettivismo. Ma «tifoso» e «sostenitore» sono sinomi, non contrari. Qualcuno avvisi Lotito. O gli compri un dizionario.